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Alfredo Oriani

Al di là

romanzo

ISBN 978-88-86428-88-0
Formato: 13 x 20
Pagine: 402

Euro 22,00

 

 

 

 

Scheda Editoriale

 

 

 

Oh! il piacere è una religione e pochi gli iniziati ai suoi santi misteri! Colui che prostituisce, il momento dell'amore con una donna fredda e sconosciuta, che se la stringe fra le braccia prima che il petto minacci scoppiargli, è un infame come il poeta che vende la propria inspirazione, come la bella che discute il salario delle sue compiacenze. Siate innamorati amando; aspettate che la marea monti, il vento si levi, irrompa la tempesta e il sole la illumini, se volete godere le angosce divine della passione. Il mio amore è un oceano, e io sono come quell'audace che salpava solo quando lo vedeva burrascoso..

 

***

 

Vedete: vi ho osservata. Siete divinamente bella nella vostra tristezza, bella come una di quelle statue nude e velate, colle quali gli scultori si compiacciono da qualche anno a popolare le esposizioni: perdonate dunque all'affettuosa curiosità, della donna che vorrebbe alzarvi il velo.

 

Un amore tra donne nella Bologna di fine ottocento. Tra fremiti, sospiri, balli in maschera ed esotismi si svolge la vicenda passionale della baronessa Elisa di Montenero e della dolce Mimy.

Una lettura segreta, intima, ardita, profonda…

 

Alfredo Oriani è stato un grande protagonista della letteratura italiana, ingiustamente messo in ombra, sebbene apprezzato, tra gli altri, da Croce, Gobetti, Gramsci, Spadolini.

Finalmente se ne sta per riscoprire l’importanza ed il valore.

 

Alfredo Oriani (Faenza 1852 - Casola Valsenio, Ravenna, 1909) fu uno dei più prolifici ed importanti scrittori italiani tra la fine dell’ottocento e i primi decenni del novecento. Fu apprezzato, tra gli altri, da Croce, Gobetti, Gramsci, Spadolini. Gli nocque, nel dopoguerra, la sviscerata simpatia di Mussolini per la sua opera. Per le tesi espresse nella saggistica politica, lo volle discutibilmente considerare un precursore del fascismo, al punto da promuoverne la pubblicazione dell’Opera Omnia e di volerla curare lui stesso. L’opera di Oriani, ingiustamente messa in ombra per troppo tempo, felicemente oggi viene riproposta.

Tra i suoi romanzi si ricordano: Gelosia (1894), Vortice (1896), La disfatta (1896), Olocausto (1902) e la raccolta di racconti La Bicicletta (1902).

Tra la produzione saggistica: Fino a Dogali (1889), La lotta politica in Italia (1892) e La Rivolta ideale (1908).

 

Ritratto di Alfredo Oriani per gentile concessione della

Fondazione Casa di Oriani, Ravenna

www.fondazionecasadioriani.it

 

Leggi un brano

 

.....

 

L’ombra fremeva; gemè un preludio di Chopin così delicato che parve il sospiro della sera; non saliva, non insisteva: erano note staccate che si diffondevano svanendo in una melanconia senza nome, e altre seguivano egualmente lievi, poi altre ancora e il tono calava e il silenzio sembrava palpitare. Se quella era una musica di dolore, divina ed infelice l’anima che lo patì! Quindi dal preludio si svolse un canto indistinto, lento, ma a volta, a volta con uno slancio ineffabilmente appassionato come di una farfalla legata ad un filo: una lotta soave e crudele, che non poteva esprimersi senza quelle note e abbisognava della sera bruna, piena di reminiscenza e di brividi prima che la luna versasse tutto il suo chiarore e la solitudine si popolasse coi fantasmi della notte. Sembrava un’aspirazione verso un ideale incompreso, che sorgesse da un’anima chiusa in una forma gracile e stupenda, come un dolce odore esala da un bel fiore, e perdendosi inutilmente si dolesse della propria delicatezza. Le note si fecero più rare, s’abbassarono languenti, sfinite...

Il piano era muto e Giorgio commosso ascoltava ancora.

Guardò alla finestra: l’ombra, non passava più innanzi al lume.

Quella musica sembrava aver desto l’anima del bosco: le frondi sussurravano fra loro, qualche ramo luceva al raggio di una stella affacciatasi al suo balcone d’azzurro, mentre nell’aria udivasi come il passare di aerei fantasmi dalle lunghe vesti sibilanti che si inseguissero: la rugiada inumidiva lagrimosa le verdi pupille delle foglie.

Giorgio era solo: nella casa e nel prato era silenzio.

Attese che la musica ripigliasse fra la trepidazione della sera.

D’improvviso sprizzarono le note di un fandango ebbre di risa e di baci, e la voluttà levandosi in sussulto parve gittarsi nella ridda per riempirla di un disordine fragoroso e lascivo; gli occhi neri avventavano lampi, le bocche fremevano, il respiro ingrossandosi faceva arrovesciare le teste coi capelli ondeggianti... La ridda precipitava più veloce e più nuda, perché le note, quasi mani convulse, alzavano le vesti... Giorgio fu trascinato: non poté più resistere, si girò attorno un’occhiata e abbracciandosi d’un tratto all’albero cominciò una difficile e pazza ascensione. Giunse trafelato sulla forcata, che la tormenta del fandango aveva raggiunta la foga di una tormenta di sabbie e le ultime note cadevano soffocate, stritolate.

Nella camera non si vedeva, che un doppiere sopra un tavolo.

Una bestemmia gli si frantumò fra i denti, ma indi a poco una donna, vaporosamente vestita di una lunga veste bianca, s’appressò al tavolo e si assise sulla poltrona: la sua posa era languida, la sua figura riflettendosi dietro in un alto specchio, s’illuminava più vivamente nel chiarore della lastra.

— Se Ossian la vedesse in questo punto — Giorgio pensò — la paragonerebbe a Sumalla o ad Evirallina.

La donna non si moveva dalla sua stanca posa; una treccia discesa in una piega della veste ne usciva sciolta in ciuffo; forse ella aveva cominciato a disfarla e s’era fermata prima che a mezzo.

Passarono alcuni minuti; indi con la mano libera ripresa la treccia, la disciolse, la diffuse; slegò il mazzo dell’altre lasciandone intatta una sola e stette guardando fisamente per la finestra.

La tenda era immobile, il vento era cessato; ella pure stava immobile e le candele la lumeggiavano.

Sospirò forte, poi aprendo lentamente le braccia fe’ colla testa un atto inesprimibile di seduzione, quasi che un fantasma le stesse dinanzi e non intendendosi bene col linguaggio degli occhi si movesse per abbandonarla: ma le mani non le caddero abbattute, anzi si levò, andò allo specchio e vi si mirò intenta. Poi si volse alla finestra; la tenebria facevasi mano mano più densa.

Dal ramo, che stringeva colle ginocchia a guisa di una sella, Giorgio osservava comodamente nella stanza per il vano delle tende.

Mimy si slacciò al collo la veste rigettandola dalle spalle perché scivolasse; la veste scivolandosi gonfiò come una nuvola che la nascose sino ai ginocchi; ella non aveva più che la camicia, strana, attillata quanto un abito, con un ampio bavero alla marinara e una cintura alle reni che le disegnava vagamente le forme della persona. Così contemplandosi si accomodò i capelli, stirò una calza scesa borghesemente in crespe, allentò la fascia, si sbottonò il pettorale con lentezza quasi di amante, che volesse bere a sorsi la voluttà delle bellezze che scopriva; poi lo staccò, e poiché voltava il fianco alla finestra, Giorgio poté ammirare una divina forma femminea. La camicia era diventata una mantellina a maniche.

Allora si ammirò ella pure; poi fanciullescamente, a passi piccini, venne a prendere la mandola in sul tavolo, trasse la poltrona allo specchio e vi si adagiò: ma depose l’istrumento sulla veste invece di toccarlo.

All’insistenza della propria contemplazione quella donna doveva essere innamorata di sé stessa, poiché la vanità non bastava a spiegare quella lunga e raffinata osservazione del bel corpo. Nel suo atteggiamento che avrebbe entusiasmato uno scultore, posava dinanzi a sé medesima. Mollemente sdraiata sulla poltrona, colla camicia gettata sul dosso come un mantello, i capelli ondeggianti, una mano sotto il seno e un piede che scherzava colla cornice dello specchio, mentre la gamba vi si rifletteva in tutta la purezza del suo profilo... ella si inebriava, insuperbiva, forse, e non aveva torto. Le sue forme erano di grandezza mezzana ma di una inesprimibile castità, artistica: bianca, bionda fanciulla, all’aria estatica del volto e al fremente errare della mano forse assorta in un sogno di amore; sola, nuda, allo specchio, la mandola ai piedi, i capelli diffusi: figura poetica ed originale di voluttà e di bellezza! Giorgio la divorava. La stravaganza della sua ascensione sull’albero era superata dalla stravaganza di quella scoperta e dall’estasi solitaria di quella donna davanti a sé stessa e in sé stessa, giacché quella nudità così pura e insieme così impudente prestavasi alle più bizzarre e audaci divagazioni.

— Bella!... bisogna ch’io l’abbia — mormorò stendendo nell’ombra una mano verso di lei.

 

.....

 

 

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Leggere:tutti

Mensile del libro e della lettura

 

Numero 47

 

Aprile 2010

Mangialibri

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Lunedì

03 maggio 2010

 

Carlo, uno tra gli avvocati più ricchi e stimati della Bologna di fine Ottocento, ha un portamento ordinario e inelegante e un carattere freddo e distaccato, che tuttavia non si rivela insensibile al fascino misterioso della stravagante marchesa Elisa di Monero. La quale, pur non essendo molto bella, offre con conturbante disinvoltura l’immagine di una donna altera e amante del lusso. Insomma una presenza enigmatica e sfuggente, sdegnosamente ostentata, psicologicamente esclusiva e distante. Il motivo dell’attrazione fatale gli risulta ignoto e provoca in lui uno stato di crescente inquietudine, anche perché da un anno l’uomo è sposato con Mimy, una giovane donna deliziosa e incantevole, che presenta invece tutti i requisiti di un’indiscutibile bellezza. L’avvenente sensualità del corpo di Mimy, unita all’aspetto triste e malinconico, penetra fin dentro le viscere del conte Giorgio De Vinci, amico e compagno di caccia di Carlo, provocando in lui l’indomabile richiamo di una forte seduzione. Egli tenta di conquistarne i favori facendo leva sulla sua natura sensibile e garbata. Ma Mimy, frustrata dall’atteggiamento di ributtante animalità assunto dal consorte nell’intimità coniugale, appare ormai convinta che nessun uomo sia in grado di penetrare nell’intimità femminile senza infrangerla, riuscendo a soddisfare il suo trepidante bisogno di sentirsi donna…
Andando a colmare una profonda lacuna, nella collana “Excelsior” della Edarc Edizioni appare un volume pressoché inedito di Alfredo Oriani (Faenza 1852 – Casola Valsenio 1909), scrittore ammirato da Benedetto Croce, Antonio Gramsci e Maria V. Bellonci. Ma anche fino a oggi ingiustamente ignorato dalla critica letteraria, per via delle sue pubblicazioni storiche e politiche ritenute contigue al regime fascista. C’è da rallegrarsi, poiché si tratta di un romanzo complesso e profondo, estremamente suggestivo e prodigo di sollecitazioni, dove sono in gioco emozioni intime e gravi. Un testo di torbida scapigliatura psicologica e sociale, in cui l’autore romagnolo ha saputo rappresentare  - con una raffinata scrittura introspettiva - vezzi e passioni, intrighi e squallide mediocrità della moderna società borghese, portando in luce l’impossibilità di tragedie che abbiano una loro dignità. Una storia di anime tormentate tra sensi e spirito, che anticipa - anche nella grazia d’arte della parola e del linguaggio - il tratto espressivo ed evocativo della narrativa dannunziana. Una premessa impegnativa e assoluta, che non può non suscitare nel lettore una comprensibile curiosità e una giusta aspettativa. La prima data dalla assai relativa conoscenza dell’autore, la seconda dalla seduzione di un racconto di cui sono protagoniste due donne che si esprimono con coraggio e poesia, rivendicando pienamente il diritto di essere diverse.

 

Articolo di: Gian Paolo Grattarola

su Al di là di Alfredo Oriani

 

Gli ALTRI

Settimanale di politica e cultura

Anno II numero 11

venerdì 26 febbraio 2020

 

 

articolo di Roberto Gigliucci

su Al di là di Alfredo Oriani

   
   
   
   

 
 

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