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Salvatore Brandanu
Le terre lungo il fiume
romanzo
ISBN 978-88-86428-85-9
Formato: 13 x 20
Pagine: 226
Prezzo: Euro 16,00
Scheda
Editoriale
Nella Sardegna che cambia, in un paese della Gallura, due
famiglie, i Casali e i Bellu, sono da lungo tempo in lotta,
divise da odio implacabile a causa delle terre di "La
Piana".
L’onore offeso e l’orgoglio familiare non sono però più
sentiti e condivisi dai figli ormai calati in una realtà più
moderna e in una diversa visione della vita. E sono
soprattutto le donne, Luciana Casali e Annamaria Bellu,
compagne di scuola e amiche inseparabili, a vivere con
disagio l’ostilità tra le loro famiglie.
L’incontro tra Pierluigi Casali e Annamaria Bellu, sfociato
nell’amore, abbatterà il muro di rancore e di incomprensione
tra i due clan rivali.
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Salvatore Brandanu è
nato a Nuoro nel 1936
Ha insegnato
Italiano-Latino nei Licei e Materie Letterarie negli Istituti
Superiori.
Saggista, critico d’arte,
prefatore di libri e saggi. Giornalista pubblicista, fondatore e
direttore responsabile di "Scuola e Territorio", di "Gallura
Oggi" e di "Civiltà del Mare". è presidente dell’ICIMAR,
Istituto delle Civiltà del Mare.
Collaboratore di riviste
specializzate: Parchi, Italia Nostra, Esse come Sardegna,
Almanacco Gallurese...
Studioso della cultura e
della storia della Sardegna e della Corsica, è autore di studi
storici e storico-antropologici sulla Sardegna, in particolare sulla
Gallura ("San Teodoro, guida al territorio", "Storia e
Storie della Gallura d’Oviddè", "La Gallura una regione
diversa in Sardegna", "La civiltà degli stazzi in Gallura",
"La società rurale in Gallura"…) e di saggi in testi curati
da altri autori. In campo linguistico ha scritto un "Vocabolario
Gallurese-Italiano" ("Vocabulariu Gaddhurésu- Italianu")
e vari saggi sulla lingua gallurese.
Per la narrativa, oltre a
"Le terre lungo il fiume", è autore del romanzo "Il
notturno di Chopin" e di vari racconti.
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commento a
"Le Terre lungo
il Fiume"
a cura di
Angela Bacciu
17 dicembre 2009 |
In una Sardegna
che io non ho conosciuto ma che, credo, ogni sardo o meglio
gallurese
si porta dentro,
come se fosse scritto nel nostro DNA e manifesta atteggiamenti, modi
di fare di una cultura che ha sapori e profumi inconfondibili.
Come ogni lettore
che viene attratto dagli eventi che più gli interessano io mi sono
incuriosita e direi anche commossa in alcuni punti…….nell’ingenuità
di una Anna Maria verso Pierluigi e la forza di Luciana,….. sullo
sfondo paesaggi ignari della potenza del turismo che li avrebbe
inseguito travolti……….Tutto questo guidati dall’amore che,
fortunatamente, porta sempre e in ogni caso a un buon fine superando
l’orgoglio condiviso da entrambe le famiglie.
Grazie Prof.
Bacciu Angela
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commento a
"Le Terre lungo
il Fiume"
a cura del
Prof. Tomaso
Panu
07 dicembre 2009 |
Ho letto Le terre lungo il fiume di
Salvatore Brandanu come un romanzo d’ambiente. L’autore ha creato un
clima, un’atmosfera, che ci immette piacevolmente nel mondo della
Gallura costiera nel difficile passaggio dalla millenaria tradizione
agro-pastorale alla modernità. La prima è rappresentata dalle
attività dei protagonisti anziani e dalle loro liti, legate al
possesso della terra; la seconda è espressa dai giovani, che sono
laureati, si affermano come professionisti nel Continente italiano,
viaggiano in aereo, non capiscono le disamistà, anzi le superano.
Il turismo, che è la grande rivoluzione, fa la
sua comparsa sulle spiagge, un tempo deserte ora affollate, e
produce, tra le altre cose, un uso diverso delle terre, nelle quali
si sta sviluppando un’attività edilizia intensa con i risvolti ben
conosciuti della speculazione, della corruttibilità dei politici,
dei guasti ambientali. Il mare, che all’inizio è sentito come un
rumore lontano e un orizzonte indistinto, viene scoperto, a poco a
poco, come ambiente amico piacevole e portatore di benessere.
Colpisce l’atmosfera in cui vivono e si muovono
i personaggi, caratterizzata dall’accoglienza degli stazzi galluresi
e dal tratto gentile delle persone. In essa s’inquadra la delicata
storia d’amore tra Pierluigi e Annamaria, che sa anch’essa di antica
tradizione e rompe con dolcezza la vecchia rivalità tra le famiglie.
Prima che dal turismo, la modernità dei
personaggi è data dal carattere gallurese, aperto alle novità, dagli
studi compiuti, dai contatti col mondo esterno. Questo vale
soprattutto per le donne e, in particolare, per Luciana, spirito
libero e determinato. Ovunque si respira aria di Gallura,
nell’ambiente fisico e sociale, nei modi e nel linguaggio dei
personaggi, nei cibi e nella confezione dei dolci.
A proposito del linguaggio, mi pare che la
frequenza del discorso diretto e l’uso di un lessico familiare
riecheggi la cortesia e la piacevolezza del conversare gallurese.
Non è senza significato che il romanzo sia
stato scritto in San Teodoro, estremo lembo della Gallura, ai
confini con la Baronia, dove il confronto con una cultura diversa ha
contribuito a far risaltare i caratteri dell’antica madre.
Prof. Tomaso Panu
Tempio Pausania, 7 dicembre ’09.
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commento a
"Le Terre lungo
il Fiume"
a cura di
Giovanni
Degortes
29 novembre 2009 |
Una famosa canzone recita "Orgoglio,
ne ha rovinato più
lui che il petrolio"!
Le terre lungo il fiume propone al dormiente sguardo fisso
dell'istinto, del pregiudizio e della rabbia di svegliarsi,
di guardare oltre e di dissolversi per sempre nell'orizzonte infinito della ragione e dell'amore.
Complimenti vivissimi all'autore!
Giovanni Degortes
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commento a
"Le Terre lungo
il Fiume"
a cura di
Fabio Columbano
fabio@cedolbia.com
05 novembre 2009
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L'ho letto tutto d'un fiato e da "gallurese doc" vi ho trovato
usi e costumi a noi tanto cari. Una finestra reale sulla nostra
società.
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commento a
"Le Terre lungo
il Fiume"
a cura del
Prof.
Renzo De
Martino
21 ottobre 2009 |
Le terre lungo il fiume
L’incipit di questo bel libro
di Salvatore Brandanu è il fulcro della trama, il perno su cui
ruotano i capitoli del romanzo: un intrico di episodi in cui
risaltano la fiamma dei contrasti, gli odi e i rancori a lungo
contenuti, aneliti di rivalsa, ma anche gli affetti familiari e
fervidi ideali di solidarietà in cui tutti i nodi della trama
troveranno una felice conclusione. L’avversione, in fondo
immotivata, di due famiglie, i Casali e i Bellu, ha le sue
scaturigini in una questione di interessi terrieri. Di qui una
guerra subdola di nervi e di dispetti reciproci e una futile gara di
progetti per affermare orgoglio e onorabilità, la propria presunta
superiorità alimentata dall’odio irriducibile e dall’invidia che
crogiola se stessa. La rappacificazione avverrà per merito di
Annamaria, figlia di Pietro Bellu e Luciana, figlia di Giorgio
Casali. Il racconto è condotto con forte tensione, scarno e
apparentemente semplice, eppure complesso, lucido e ritmato con
polso sicuro, districando suggestioni e momenti emozionali, che
danno calore e vitalità alla narrazione. Certi scatti, argute
notazioni, accorte movenze, la tenera ironia e il sorriso leggero
danno il sale alle pagine più belle.
Su questa linea di tensione si
distende il romanzo in un descrittivismo minutissimo, ma la realtà,
il senso delle cose, il corso degli eventi e la loro ragione sono
sempre rispettati con la giusta calibratura. Alla sorgente della
narrazione sono certi snodi della vicenda rinsaldati nell’unitaria
tessitura interna, soprattutto i brani più intimi, che riflettono
le motivazioni e gli empiti del cuore, e poi i fatti e i colori
della terra. L’autore lega con amore la sua vena sarda a
quell’ombelico della vita e del mondo, San Teodoro e le piane
intorno, gli stagni e gli arenili, soprattutto il mare, con le sue
calme e le furie rabbiose, e al centro un’umanità vissuta nella
fatica e nel lavoro ma dotata di eccezionali risorse a cogliere i
segni per cui tutte le creature si legano in un solo universo e in
un tempo fuori del tempo. La fantasia, i sogni e la storia tendono
ad unirsi in una non comune virtù d’invenzione linguistica e in una
sensibilità di rara sottigliezza. L’elementarità dell’esistenza si
aggrappa a dati esterni che sono quelli delle stagioni, le opere e i
giorni, elementi minimali che non sono mai piccoli quando misurano
il senso della vita. Più che romanzo si ha l’impressione di un lungo
e agile racconto: ma il romanzo – è stato detto – è il multiplo del
racconto. Questo racconto però, a tratti, è anche sfogo e
confessione, e attraverso il vivacissimo dialogo e le pennellate di
colore verbale avanza nell’animo e nel tempo, svaria nei luoghi come
e deve fare il tradizionale racconto forese, con tutti i
particolari, voci e situazioni, quasi la sintesi di un coro, il
continuo brusio, ch’è la vita paesana. Questi colori e suoni, questa
voce continua, dicono infinite cose, fatti e parole, ansiose,
incalzanti, e la vicenda assume il profilo grafico e la veste fonica
che afferra il lettore, ormai partecipe e consapevolmente solidale.
. La fertile vena del narratore, la sua partecipazione civile e
morale, la conoscenza capillare dell’ambiente locale, la serenità
del giudizio riscattano l’opera dal livello del bozzetto, come
potrebbe talvolta apparire, per virtù etica e artistica allo stesso
tempo. È un quadro di vita che, pur con i dissidi e le ombre di
sempre, almeno nelle campagne e nei paesi solitari, ha l’atmosfera
dei tempi antichi: odori, visioni e sapori, l’avvicendarsi delle
stagioni, gli uomini semplici e le passioni elementari, infine la
natura incontaminata nei suoi elementi ancestrali, inoltre la pena
del vivere che si riscatta nel lavoro, la famiglia , la solidarietà
degli altri e la fede nei valori più alti. Un romanzo pulito in cui
trionfano l’ottimismo e la speranza, i buoni sentimenti: non i
sentimenti del frusto perbenismo, ma quelli autentici che esaltano
l’umanità. Gli amori naturalmente ci sono ma senza prurigini
erotiche, mai torbidi e procaci. Anzi sono proprio gli amori più
puri a risolvere tutti i nodi. Magistrale il quarto capitolo per la
perfetta orditura e la fusione dei dati compositivi: una
rappresentazione icastica dell’uomo e la natura messi a confronto.
Ancora i casolari dipinti a pastello con trepida tenerezza, i campi
rabbrividenti all’aria gelida, inondata dal fiume in piena e la
guazza fangosa, e poi gli animali e i mandriani solerti. E c’è la
calda ambientazione degli interni domestici, mobili antichi e
suppellettili modeste, la cucina odorosa e il gusto delle cose buone
che la tradizione ha tramandato da una generazione all’altra:
un’atmosfera di intimità che evoca un passato neppure lontano ma
esposto ormai al rischio della modernità che, inesorabile e
invasiva, avanza. Una presenza muta ma vitale e suggestiva è, più
che il fiume del titolo, il mare, il celebrato e policromo scorcio
tra Capo Codacavallo e “il profilo viola-biancastro” dell’isola di
Tavolara: «Il mare era divenuto blu intenso, qua e là interrotto da
grandi macchie glauche; le onde basse e tranquille, si smorzavano
con un fruscio sommesso sulla battigia, lasciandosi dietro, quando
si ritiravano, una trina serica di spuma che sprigionava riflessi
iridescenti. Da dietro la barriera delle dune, oltre la cortina
verde dei ginepri e delle sabine, là dove si stendevano le acque
tranquille della laguna, giungevano a tratti le grida acute degli
uccelli palustri, lo schiamazzo dei marangoni e il cachinno beffardo
dei gabbiani. Il cielo era terso: solo all’orizzonte, dalla banda di
levante, due piccole nubi veleggiavano lievi nell’azzurro. È una
campitura, piccola ma esemplare, del grande quadro sulla costa sarda
a oriente.
L’oggetto e i modi della
rappresentazione ricordano à rebours, sul filo dei moduli
verghiani, alcuni nostri bei romanzi del secolo scorso, ora
immeritamente dimenticati. Abbandonati i richiami dell’impegno, dopo
la crisi delle ideologie e l’ambiguità della politica, la nostra
letteratura oggi si muove tra la pressione dell’attualità e il
bisogno della fantasia; esorcizzando lo storicismo di maniera e le
esasperazioni della sessualità, si sente semmai l’esigenza della
libertà sul piano dell’invenzione ma in nome d’un’umanità superiore
espressa con grande afflato narrativo. La vicenda del nostro libro
in fondo non esprime tutto il suo significato: il quale scaturisce,
sì, dallo svolgersi dei fatti, ma soprattutto dalla lettura della
trama della vita al di là delle righe, oltre l’aspetto esterno delle
cose evocate . La vita è disossata in una narrazione puramente
esistenziale spogliata di drammaticità e attualità: la pellicola del
quotidiano e anche il grigiore che formano la sostanza delle
giornate della maggior parte di noi. Eppure vi incombe a tratti una
soffusa luce crepuscolare, come certe velature della vecchia
pittura, quella luce leggermente allucinata che svuota le cose,
alleggerisce la materia e la proietta riflessa nello specchio del
nostro occhio assorto. Basta un tocco a creare questa intonazione,
una rapida pennellata, un breve segmento di prosa. Resta il realismo
della vicenda, ma è un realismo filtrato, immaginoso e memoriale
insieme, risolto spesso con ispirazione lirica. Sono fantasmi del
sogno e della fantasia, più spesso della nostalgia, che danno al
racconto la nota fondamentale, la sapienza d’un contrappunto d’anima
in cui si estenua il reale al limite della poesia. Voglio dire che
esiste una sapienza di vita che si spiega diffusamente nelle pieghe
del racconto, il medium soprattutto del cuore umano, oltre che del
pensiero, che indaga acutamente, scruta intenzioni e comportamenti
con inespressi ma sottesi giudizi morali, per cui soggetto ed
oggetto, i due piani, si uniscono e nell’economia delle cose
narrate s’insinua – a ben ascoltarla – la voce dell’autore. La
lettura restituisce con la viva cadenza delle parole la personalità
dello scrittore, le sue idee e certi istinti culturali, indipendenti
nel giudizio ma inclini al gusto comune, la misura, la regolatezza,
il nobile sentire, la saggezza di sempre.
Alla suggestione del paesaggio – le
spiagge assolate, i cieli sereni o uggiosi per la pioggia
insistente, gli slarghi di mare – corrisponde un più profondo
paesaggio interiore scavato con attenta analisi psicologica. La
caratterizzazione dei protagonisti – Giorgio, il patriarca,
Pierluigi, Annamaria e massimamente Luciana, forte e determinata –,
ma anche i personaggi minori, se pure con tratti sfumati o accenni
velati, in una cornice che inquadra atti e movenze con tonalità
chiaroscurali.
La fortuna di certi stilemi e di
certe immagini, segni paradigmatici e referenziali, sono centri
nevralgici di una mappa artistica in cui la voce si inarca, si
scioglie, si rapprende, fluisce per esprimere compiutamente i
sentimenti più mossi e battuti, le emozioni del momento. La tenuta
del racconto, la finezza della scrittura, la vivacità del dialogo,
il gusto di affabulare e la ferma capacità di penetrazione
psicologica si sposano con la riuscita degli elementi descrittivi,
quasi di raffigurazione pittorica e di soffuso incanto lirico.
Si potrebbe concludere con una confessione di
Leonardo Sciascia: «Ho tentato di raccontare qualcosa della vita di
un paese che amo.»
Salvatore Brandanu c’è riuscito.
Professor Renzo De Martino
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